Il bicchiere mezzo pieno della prevenzione

Tra una sanzione di  450 euro notificata ai genitori di minori di 16 anni, colti a consumare bevande alcoliche (ordinanza di Milano del luglio scorso) e la sentenza di questi giorni che ha condannato le famiglie di ragazzi minorenni, responsabili di aver stuprato una loro compagna, a pagare 450.000 euro come risarcimento, c’è sicuramente qualche analogia (se non fosse per gli zero!).

L’ordinanza di Milano mette tutti in riga: gli esercenti, i ragazzi e le loro famiglie. Il codice penale punisce solo l’esercente, l’ordinanza colpisce tutti coloro che giocano un ruolo fondamentale nella soluzione del problema. La sentenza va molto più sul pesante perché si occupa dell’”educazione dei figli” condannando quei genitori non tanto per non aver vigilato, quanto per non aver dato loro una “educazione dei sentimenti e delle emozioni” nel rapporto con l’altro sesso. La strada della stretta al portafoglio delle famiglie per le azioni sciagurate commesse dai loro ragazzi sta dimostrando che le Istituzioni, al momento, non sanno che pesci prendere sul fronte dell’educazione, e crediamo che simili iniziative tenderanno ad aumentare.

Ma la soluzione repressiva rivela anche l’incapacità delle Istituzioni stesse di dare risposte incisive sul fronte della prevenzione, addossando completamente la responsabilità alle famiglie di non aver saputo educare i propri figli. Guardiamo nella nostra città. Sul fronte del alcol abbiamo avuto delle buone iniziative dei servizi comunali, sanitari e dell’ambito sociale del tipo “Che cosa significa per te sentirsi brillo?” oppure “Viaggio sicuro al termine della notte”; sul fronte dell’educazione alla sessualità, invece, questa materia viene trattata principalmente in orario scolastico con l’aiuto dei docenti e di alcuni esperti. Eppure casi come quello del Miu J’adore di Marotta del febbraio scorso ce l’abbiamo anche noi! Diciamoci la verità.

La risposta istituzionale al problema è insufficiente, incompleta e non continuativa, perché scansa, fra l’altro, la partecipazione della famiglia, sia nella fase progettuale che operativa degli interventi. Eppure, sul territorio vi sono famiglie (p.e. la Commissione famiglia diocesana) in grado di collaborare con le Istituzioni per la messa a punto di piani d’intervento più completi. Ma, nello stesso tempo, bisognerà riorganizzare anche le cosiddette Scuole dei Genitori ove le famiglie possano acquisire le competenze necessarie per affrontare le sfide educative. Inoltre, anche il coinvolgimento dei genitori nei momenti formativi, in qualità di facilitatori (“helpers”), è diventato imprescindibile ed improrogabile perché assicura la continuità educativa sul territorio anche in un’ottica di ‘peer-education’, intesa come una strategia educativa volta ad attivare un processo naturale di passaggio di conoscenze, di emozioni e di esperienze da parte di genitori verso altri genitori. In conclusione, riteniamo che condividere la “questione educativa” con le Istituzioni della città sia ormai diventato un ‘must’, e ci auguriamo che la futura Amministrazione se ne possa far carico.

Il bicchiere mezzo pieno dei servizi per l’infanzia

Il report di gestione 2005/2009 sulle opere realizzate, i servizi attivati e le iniziative promosse dalla uscente Amministrazione, che abbiamo avuto modo di leggere e commentare, ci consente di esprimere alcune considerazioni.

Naturalmente, le osservazioni verteranno sulle questioni che conosciamo meglio, e con il presente contributo cominceremo dai servizi per l’infanzia.

Concordiamo con l’Amministrazione quando parla di buona qualità dei servizi per l’infanzia 3-36 mesi, qualità espressa sia in termini di forte aumento della capacità ricettiva delle strutture sia pubbliche che private, sia di miglioramento della refezione scolastica e sia di competenza del personale e dell’offerta educativa nel suo insieme.

Tuttavia, crediamo che la percentuale del 33% di copertura del servizio, benché rispettabile, non sia nel breve destinata a crescere più di tanto. Pertanto, ci siamo chiesti come sarà possibile rispondere alla richiesta di quelle famiglie che per una serie di motivi non riescono ad entrare nelle strutture esistenti e quindi costrette ad ‘arrangiarsi’. La futura Amministrazione non potrà scansare il bicchiere mezzo vuoto che le si parerà davanti.

La nostra riflessione si è posizionata, quindi, sulla rete parentale e su quella delle conoscenze familiari che spesso sostengono le famiglie quando i servizi non esistono o non sono ancora sufficienti. Una giovane nonna o una zia, un’amica inoccupata che non ha più figli piccoli da accudire, una conoscente che sbarca il lunario facendo la baby-sitter sono alcuni casi da prendere in considerazione per lo sviluppo di una rete di servizi complementari a quelli già esistenti.

La nostra ricerca si è focalizzata, quindi, su esperienze straniere (Tagesmutter tedesca) e di alcune italiane come Trento e Roma. In sintesi, le questioni da verificare sono due. La prima è quella di sapere se vi sono persone che sono interessate ad un’occupazione che concili lavoro e famiglia; la seconda, invece, è quella di verificare se vi sono mamme che sono alla ricerca di personale qualificato a cui affidare il bambino, magari in un ambiente più domestico.

L’incontro tra queste due tipologie di persone fa sì che si possa realizzare un micro-nido domiciliare con la presenza di almeno cinque bambini. Questa modalità, tuttavia, sembra essere non così semplice da realizzare per due ordini di motivi. Il primo riguarda la formazione della “mamma di giorno” che aldilà del fatto sia già una mamma, la gestione di un gruppo di bambini sotto il profilo educativo ha bisogno di un’adeguata formazione; il secondo, sono i costi e l’organizzazione del servizio. Tuttavia, come è successo in altre città che hanno attivato un micro-nido, la collaborazione con gli enti e il privato sociale è stato determinante. Per esempio, la Provincia di Roma ha curato la formazione delle mamme e la gestione è stata affidata ad una cooperativa sociale.

Allora, crediamo che una seria riflessione su questo tipo di servizio ai bambini piccolissimi debba essere fatta, e al più presto, anche in considerazione di nuove opportunità di lavoro che si offrirebbero a molte mamme.

Il Mobility Game e la pratica dello ‘slow school’

La segnaletica stradale, per molti genitori che accompagnano i loro figli a scuola, spesso è vissuta come un consiglio. Le foto che consegniamo alla stampa, molto esplicative, riprendono una delle tante macchine che eludono un divieto di accesso posto poco prima della Scuola Rodari su Via dei Gerani (dietro COOP). Ma non c’è solo questo.

La pista ciclabile, che percorre Via dei Garofani, nell’ultimo tratto è spesso occupata da macchine che scaricano bambini, costringendo i ciclisti ad uscire dalla pista; senza parlare delle decine di macchine parcheggiate lungo la strada per consentire ai genitori di accompagnare i loro figli all’ingresso della scuola; e, in questo spazio congestionato, udiamo l’anziano signore con la paletta che grida e impreca contro tutti quelli che rallentano e si fermano in mezzo alla strada. Infine, alle 8,15 nel bel mezzo della calca arriva il long bus di Bucci con il suo carico di studenti che scarica proprio davanti alla Rodari. Questo è quello a cui si assiste tutte le mattine dalle 8,10 alle 8,20.

Sono quattro anni che pratichiamo il gioco del Mobility e crediamo che se qualcosa l’abbiamo insegnata ai bambini, ai loro genitori poco ancora abbiamo trasmesso. Forse il gioco dura poco? (quest’anno solo un mese!), o forse i genitori lo giudicano inutile? Può darsi.

Ma bisognerà pur spiegare ai bambini che trasportiamo perché quella macchina, nonostante il divieto di accesso, è passata lo stesso, oppure bisognerà spiegare perché qualcuno può oltrepassare le transenne. Insomma, ciò che il gioco sta insegnando, con i nostri frettolosi comportamenti, noi lo stiamo demolendo. Lo spazio antistante alle scuole doveva essere una zona completamente franca da ogni tipo di mezzo di locomozione, insomma, un tratto di strada da percorrere a piedi e in massima sicurezza, con calma (slow) e in compagnia di amici e genitori. Si tratta in fondo di dieci minuti da ritagliare da una vita vissuta all’insegna della fretta.